La Fusione A Freddo

Senza titolo-8Non avrei mai pensato che seduto su un grosso jumbo, in ritorno da New York a Roma, attraversando l’Atlantico avrei avuto paura della morte; la struttura dell’aereo sembrava torcersi in tutta la sua lunghezza come pronta a disintegrarsi. Correnti d’aria? Forse. Mia moglie seduta rigidamente vicino a me, non stringeva solo i braccioli del sedile ma anche i denti. Dopo, accusò dolori alle mascelle e ai petto per più di un giorno. Giurai che non sarei più salito su un aereo senza un paracadute.

All’aeroporto Leonardo da Vinci, dopo una lunga passeggiata con pesantissimi bagagli a mano, (tutta colpa di mio figlio che ci aveva ordinato di portargli una gran quantità di programmi e di manuali) fummo informati che l’aereo per Palermo sarebbe partito con 50 minuti di ritardo causa lo sciopero in corso. Ci sedemmo comodamente sulle griglie sedili e tirai fuori il giornale italiano che avevo appena comprato. Grande notizia del giorno; la fusione a freddo scoperta da Fleischmann e Pons, da un lato, e da Steven Jones dall’altro. La notizia data ai giornali a mio parere, era stato un grande atto di coraggio dello scienziato Premio Nobel Rubbia, che aveva riunito i più importanti fisici del mondo per dare la prova della scoperta. Lui Rubbia, rosso come un rubino, aveva sfidato il mondo intero, come aveva fatto qualche anno prima, quando insisteva contro il parere di tanti suoi colleghi sul fatto che bisognava ottenere l’energia pulita se si vuole salvare il mondo. E questa terza pagina aveva seguito con attenzione quanto andava sostenendo Rubbia, deplorando l’energia a fissione sostenuta dalle industrie del Nord. Avevo da poco finito di sbandierare nelle università americane, dove ero stato, il fatto che “amo mia moglie perché ha una testa” non come i vitelli di Caorso che nascono con due teste e “qualche volta anche con tre”. E perciò ero lì seduto sulla griglia a puntare il dito al titolo del giornale e a discutere con mia moglie del fatto tanto importante per tutta Pumanità, a dire nomi ad alta voce, Fleschmann, Pons, Steven Jones, Rubbia, tanto ad alta voce che non solo mia moglie era costretta a seguire le mie spiegazioni, ma tutto il gruppo di gente attorno, in attesa, come me, dell’aereo per Palermo. Notai a un certo punto un signore che sorridendo faceva segni a mia moglie come a dirle di voltarsi. Anche Nina lo vide e incuriosita del fatto, si voltò. Rimase a bocca aperta. Proprio alle mie spalle, sfiorato dalle mie braccia che svolazzavano nella foga di dare spiegazioni del grande avvenimento, c’era lo scienziato americano della fotografia del giornale: Steven Jones. Si, proprio lui. Fu una vera sorpresa, ma con sufficiente presenza di spirito mi alzai per andare a stringerli la mano. “Congratulations”, dissi. Capimmo subito perché lo scienziato si trovava al capolinea dell’aereo per Palermo. Era stato frettolosamente convocato, con tanti altri scienziati del mondo (c’erano pure i giapponesi) dal prof. Zichichi — che sa prendere sempre la palla in balzo – al Centro Ettore Maiorana di Erice per discutere sul grande avvenimento.

«Will you please sign your autograph next to the photo of you in this newspaper?», dissi: «anch’io vado a Erice, anzi abito a Erice».

Salendo sull’aereo che ci avrebbe portato a Palermo, Nina mi disse: «Te lo immagini se questo aereo precipitasse? Sarebbe la fine non solo della letteratura Antigruppo ma anche di mia» .

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